martedì 21 maggio 2013

Grandezza dell'uomo e povertà

" La grandezza richiede insieme l'abbondanza e la povertà; nulla di grande si fa se non mediante una data povertà. Si può capir qualcosa della vita umana, se non si comincia col capire che è sempre la povertà a sovrabbondare in grandezza?
La legge tragica, non della natura umana, ma del peccato dell'uomo, fa sì che la povertà degli uni crei l'abbondanza degli altri: povertà di miseria e di schiavitù, abbondanza di brame e d'orgoglio. Legge del peccato che non si deve accettare, ma combattere. Ciò che sarebbe conforme alla natura e che dobbiamo chiedere nell'ordine sociale alle nuove forme di civiltà, è che la povertà di ciascuno (non penuria, nè miseria, ma sufficienza e libertà, rinunzia allo spirito di ricchezza, gioia dei gigli del campo) ; è che una certa povertà privata crei l'abbondanza comune, la sovrabbondanza, il lusso, la gloria per tutti"

Jacques Maritain
in "Umanesimo Integrale"


  La povertà come misura della grandezza, il limite come il contorno di ciò che ci definisce, che definisce il nostro spazio, il tempo e la misura del nostro agire. Una povertà dell'uomo, quella del peccato, che si fa povertà per gli altri uomini, ed una povertà conforme all'ordine naturale, alla misura delle cose, alla vera "civiltà" per cui il nostro diminuire è il l'aumentare dell'altro uomo, il rinunciare all'accumulo è la crescita per tutti, la nostra misura è la vera grandezza per ognuno, nella condivisione, nella gratutità del dono, la "gloria" dell'umanità. 
Conforme alla natura sarebbe dunque, non l'accumulo, l'accaparramento, il profitto, la competizione, il mercanteggio volto all'accrescimento indiscriminato di sè e del proprio "benessere", ma il diminuire, il giusto, la giusta misura, il rispetto per il lavoro dell'altro, che non è depredare uno spazio di sopravvivenza per la distruzione competitiva, ma il produrre e godere creativo della capcità misurata della propria attività, per godere, nei limiti del godibile, della ricchezza del lavoro delle proprie mani, del proprio spazio di dialogo con la natura; in uno scambio reciproco tra gli uomini frutto della disponibilità e della solidarietà dello scambio e del dono, del mio di più e del di più concesso dalla natura nell'uso "povero" delle risorse e non dello "sfruttamento" indiscriminato. 
Un diminuire che non assolutizza, ma "dialogizza", non rende grandi e opprimenti, ma si cura dell'altro nel curare il proprio sufficiente, la propria misura. Diminuiamo per aumentare tutti! Non competizione, ma rispetto per la crescita umana comune; non accumulo, ma disponibilità e cooperazione per il dono e lo scambio. Quando diminuisco, faccio nascere in me il desiderio della relazione, del gettare ponti, del collaborare; quando competo, al contrario accresco me stesso per distruggere l'altro, nel riconoscimento solipsistico del diritto non al proprio spazio, ma al maggior spazio possibile per me e per chi aderisce ad esso, spesso in una spirale perversa di clientela e favori corporativistici che è quanto di più contrario allo spazio creativo minimo che accresce la vera ricchezza, quella umana, che è fonte di dialogo, di relazione, di occasioni di lavoro, di vita e infine di giustizia per ogni uomo. 
Nella misura è la crescita umana, nel rispetto del proprio spazio è l'assicurazione dello spazio per l'altro, non solo quello pratico, dell'attività, del lavoro e dell'economia, ma anche quello del dialogo, dell'espressione, della libertà e dei diritti umani e quindi la vera giustizia per tutti e per ciascuno.
Se io diminuisco, creo uno spazio, perchè l'altro cresca e sopravviva e possa vivere insieme con me e con ogni altro.
Povertà per la grandezza dunque, povertà per il dialogo, povertà per lo spazio creativo, per la vita e per la giustizia.

L.D.H.R.

Nessun commento:

Posta un commento